«Rsa, serve una visione programmatoria»

«Rsa, serve una visione programmatoria»
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Su Senzetà, il giornale della Fondazione Turati, un’intervista a Luca Degani, presidente Uneba Lombardia, sul tema dei rapporti tra le Regioni e il privato accreditato e sull'assenza di una programmazione che tenga conto delle Rsa come parte integrante del sistema sociosanitario. Il nodo del fabbisogno di personale e della sua formazione. «Queste strutture non sono luoghi in cui si posteggiano gli anziani, bensì erogano anche servizi domiciliari e diurni».

Rsa, serve una visione programmatoria

Da oltre un anno le Rsa sono in prima linea nel fronteggiare l’emergenza, ma anche alle prese con alcuni problemi che proprio la situazione attuale ha esacerbato. Su tutti, la definizione dei rapporti tra il privato accreditato e le Regioni, nonché l’assenza di una programmazione che tenga conto di queste strutture quale parte integrante del sistema sociosanitario, considerando nel suo complesso sia l’offerta di posti per la popolazione sia il fabbisogno di personale. Le gravi carenze di organico dopo i concorsi per le assunzioni di infermieri e operatori nel settore pubblico sono uno degli effetti più evidenti di tali problemi. Senzetà, il giornale online della Fondazione Turati, ha intervistato in proposito Luca Degani, avvocato cassazionista e presidente di Uneba (Unione nazionale istituzioni e iniziative di assistenza sociale) Lombardia.

«Manca la capacità di una visione programmatoria: ormai da anni la politica propone di spostare il modello organizzativo della sanità italiana da un’attenzione esclusivamente ospedaliera a una territoriale – dice – dove il personale infermieristico e paramedico è fondamentale per costruire servizi perseguendo standard di adeguatezza terapeutica».

Cosa serve

Titolare di uno studio legale specializzato in legislazione sociosanitaria e no profit, e membro del Consiglio nazionale del terzo settore, Degani propone di affrontare la questione a partire dalla «formazione infermieristica, differenziandola, specializzandola e soprattutto ampliandola in relazione al reale bisogno - spiega - in secondo luogo, si può pensare ad altre figure, come l’operatore sociosanitario specializzato (l’Osss, con la terza s), che potrebbero essere utili sia nei servizi residenziali sia in quelli territoriali e domiciliari». L’ampio gap esistente tra infermieri e Oss consentirebbe, infatti, l’elaborazione di professionalità intermedie, mentre nel breve periodo si potrebbe pensare a delle pillole formative per il personale Oss già esistente, allo scopo di implementarne le mansioni.

Ma il settore ha bisogno anche di altri interventi: per le Rsa non esistono regole omogenee sugli standard di natura gestionale, né leggi circa la dimensione finanziaria ed economica, e ogni regione adotta un comportamento diverso. Non solo: oggi una struttura in Lombardia, in Emilia, in Veneto o in Toscana, prende dal sistema sanitario tra i 40 e i 50 euro per la presa in carico di un cosiddetto ‘grande anziano’, mediamente 85enne e con due o più comorbilità, mentre la cifra prevista nel settore ospedaliero per lo stesso soggetto è quasi 10 volte tanto.

«Servono invece investimenti reali per la non autosufficienza - commenta Degani - la Rsa non è un luogo in cui si posteggiano gli anziani, anzi. I gestori di queste strutture erogano servizi domiciliari e diurni, e al ricovero si arriva solo quando non ci sono più alternative».

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